Il sottile piacere di preoccuparsi sempre
di Robert Morley
Sembra che ci sia un sottile piacere a preoccuparsi sempre.
Io vado sempre di fretta, preoccupandomi a più non posso. Mentre scendo le scale portando il vassoio con la prima colazione penso che potrei cadere e rimanere accecato dai frammenti del piattino del burro. Raggiungo sano e salvo il tavolo della cucina, vedo che su di esso già ci sono lettere non ancora aperte.” Chi abita a Berkhamsted? ” mi chiedo. ” Un amico o un creditore? ”
Ho avuto appena un attimo per celebrare la vittoriosa battaglia delle scale e già mi assilla l’incubo dell’insolvenza.
Se ci provo gusto a preoccuparmi una decina di volte al giorno?
Per me è una specie di obbligo: dopotutto, ormai sono 70 anni e più che mi ci esercito, senza escludere nessuna delle preoccupazioni in catalogo, da Appuntamenti(“Il direttore della banca gradirebbe incontrarla questo pomeriggio “), a incidenti in ascensore (rimanere chiuso dentro, infilare un piede nella porta che si chiude?) e allo zoo (la ricorrente preoccupazione essendo, nel caso specifico, che una delle persone a voi affidate possa infilarsi in una gabbia e venire sbranato da un leone).
Senza preoccupazioni la vita sarebbe forse più tranquilla, ma certamente molto più piatta. Prendiamo l’amnesia, per esempio: Una preoccupazione per tutti gli usi che può essere convocata a piacimento, spesso nei momenti in cui si è più distesi.
Per esempio, può insaporire con la suspense l’inizio di un viaggio.
Vi siete ricordati di chiudere la finestra del bagno? Avete lasciato il gatto chiuso in casa? “Certo che è importante ” dite a coloro che minimizzano.
Voi certamente non vi siete accorti di nulla stando al volante, ma ciò non toglie che qualcuno avrebbe potuto prenderla. Per tenervi impegnati in attesa di scoprire dov’è andato a finire il passaporto (che poi troverete non nella valigia, ma dove lo avevate messo voi stessi, e cioè in tasca) cominciato a contare i bambini.
” Sto proprio perdendo la memoria ” osservate.
Le preoccupazioni sono come i giocattoli dell’infanzia, dalla maggior parte dei quali non ci rassegniamo a separarci.
Ma possiamo imparare a giocare con le preoccupazioni in modo più razionale? Benché una tale disciplina sia di difficile apprendimento, sapere quando e di quale preoccupazione soffrire può rivelarsi enormemente vantaggioso.
Immaginate di essere in macchina sull’autostrada, divorati dall’ansia di arrivare tardi a un pranzo importante.
All’improvviso l’auto va in panne, e si ferma molto vicino alla spalletta.
A questo punto smettete di pensare al ritardo e cominciate a chiedervi con apprensione quanto tempo ci vorrà per riparare il guasto e quanto vi verrà a costare.
Tutt’a un tratto venite spinti giù dalla spalletta,la macchina si capovolge e vi gela il terrore di morire carbonizzato tra le lamiere.
Avete smesso di preoccuparvi delle riparazioni: Ora vi turba l’idea della morte incombente. L’auto non prende fuoco, tutto d’un colpo vi rendete conto di avere una gamba incastrata, e cominciate a chiedervi come sarà la vita senza una gamba.
Altra vostra preoccupazione è svanita come neve al sole.
Quando arrivano i pompieri e vi tirano fuori relativamente integro, date prova di una sorprendente allegria mentre vi sistemano dentro l’ambulanza.
Salvato dal gong o, per meglio dire, dalla sirena, cominciate a pensare alle condizioni della corsia in cui vi ricovereranno.
Ciò che vi ha permesso di giungere alla fine della giornata è stata la capacità del vostro meccanismo di preoccupazione di sorvolare i succulenti dettagli di un intervento chirurgico sull’autostrada e, in un momento di grande tensione, di contenere il carico di preoccupazioni entro limiti sopportabili.
Ora che avete scoperto di non essere i soli a temere che una scarpa mi rimanga impigliata nella porta dell’ascensore, o a figurarvi, mentre tornate a casa dopo una serata passata fuori, che poco prima di arrivare sarete fermati e pregati di cambiare strada per non intralciare il lavoro dei pompieri, anch’essi purtroppo giunti in ritardo, di stare in ansia come me? No di certo.
Non mi aspetto certo che gente come voi – che di notte rimane sveglia cercando di riconoscere tra i rumori quello delle fondamenta che si spostano – si preoccupi di meno perché coltiviamo le stesse preoccupazioni.
Una preoccupazione condivisa non è una preoccupazione dimezzata.
Uomini e Donne si creano più o meno gli stessi affanni, e una continua riduzione a metà del carico potrebbe rapidamente portare alla sua scomparsa, ma la qual cosa non sarebbe certamente positiva.
Un testamento rappresenta un eccellente esempio di preoccupazione estensibile all’intera famiglia. Se stilato con terminologia debitamente oscura, sarà quasi impossibile decifrarlo nella stesura finale. Mettere d’accordo lo stuolo dei beneficiari alle prese con volgari calcoli e ripartizioni dell’attivo ereditario, o con vincoli di inalienabilità correlati alla morte di un lontano cugino scomparso anni fa nella boscaglia australiana può aumentare enormemente la montagna di preoccupazioni che vi proponete di creare.
Alcuni notai inseriscono una clausola che vieta espressamente di impugnare un testamento, pena la perdita del diritto di beneficiarne. Con questo sistema si ottiene di sicuro il risultato di potenziare uno stato d’ansia suscettibile di ulteriori sviluppi.
C’è chi teme che il semplice atto di fare testamento posso affrettare il decesso. Vi invito a bandire quest’idea dalla vostra mente e a consultare un buon notaio più presto che potete. Dopo aver fatto testamento, potrete sempre aggiungere codicilli o trovare tutte le scappatoie che vorrete, creando infinite preoccupazioni in giro.
Ricordate che ogni volta che manderete a chiamare il notaio, i parenti e vostra moglie si precipiteranno a rassettarvi i cuscini.
Ansia e panico.Una tecnica per calmarti
Labea98 dice
Salve dottore. Avevo già scritto tempo fa un commento. Con molta serenità posso dire di aver ridotto i miei pensieri intrusivi al 70% circa. Ho 21 anni,sono ipocondriaca in una maniera eccellente. E attraverso la psicoterapia posso affermare di avere una personalità che tende al perfezionismo. Non ho mai sopportato gli imprevisti,seguo la legge o nero o bianco. Sono molto insicura. Lo scorso hanno ho pianto circa una settimana perché non ero convinta che la mia scelta riguardante la facoltà universitaria fosse la cosa giusta. Non pensavo potesse portarmi grandi benefici. Insomma,ho avuto spesso questi tratti ossessivi. Poi sono iniziati quelli sul mio ragazzo,dopo aver sentito l’esperienza di un’amica che soffre di doc. Quando si è sfogata con me ,ho cominciato a domandarmi lo amo abbastanza ? Anche io sono insicura ? E da lì,l’odissea. Adesso sono molto più tranqullla,i pensieri vengono ma non sempre e riesco a rispondere alle domande. Adesso,con questo periodo di quarantena,non lo sto vedendo perché siamo in paesi diversi. Ci telefoniamo ogni sera,quindi siamo in contatto. Però dopo aver fatto una considerazione ad alta voce e in maniera del tutto spontanea ,sono un po’ più presenti. Ho detto tra me e me “si,mi manca. Ma non da strapparmi i capelli. Sono tranquilla”. Credo di aver percepito sempre il concetto di amore in maniera sbagliata,come bisogno dell’altro. Però nonostante sia consapevole di ciò,un po’ mi sento preoccupata. Non vorrei rovinare ciò che ho fatto fino a ora. Sa darmi qualche consiglio pratico e dirmi se si tratta di una “scia di ritorno “? Grazie davvero per la sua disponibilità,fa un grande lavoro!
Dott. Mario Di Nunzio dice
Salve Labea98,
sono contento che con la terapia hai potuto ridurre del 70% i tuoi pensieri intrusivi.
Hai fatto una bella descrizione della tua personalità ossessiva. Purtroppo la tua insicurezza è rimasta ancora, ed è su questa
che ci può essere una eventuale ricaduta.
E’ meglio cercare di non dare importanza alle richieste del Doc. Questo è come un dittatore, ci avvinghia
ci cattura e, come un bullo ci costringe a fare e tutto quello che dice lui.
Quando senti le sue richieste, sotto forma di dubbi e insicurezze, non gli dare retta: distraiti e non avere paura. Se non ci lasciamo imprigionare, il Doc
dopo un po’ ci lascerà in pace.
Un cordiale saluto.
Dott. M. Di Nunzio